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lunedì 16 aprile 2018

CIN CIN BUDALAI FLIN FLUN FLAI

Mangiano riso e cavallette, vivono in due milioni per metro quadrato, si muovo tutti in bicicletta nello stesso momento senza urtarsi, discendono da Bruce Lee e se provi a cercare di colpirli, ti schivano camminando sui muri.
Fanno Tai Chi Chuan all'alba in pieno inverno, a -10 gradi vestiti di cotone a ottant'anni e passa, non muoiono mai e se muoiono si svegliano otto ore dopo a sette anni.
Puoi parlare con loro tre ore di fila che tanto hanno sempre ragione, sorridono e dicono sì ad ogni cosa che dici e non capiscono una mazza, questo è quello che fanno credere a te e te ci credi.
Si fanno i fatti loro, non li vedi mai in mezzo alle risse, ma se rompi il cazzo sparisci in silenzio e nessuno ti troverà mai in una zuppa di manzo al bambù o nel pollo al limone.
Camminano sempre spediti e persi nella loro testa, dormono in piedi appoggiati ai muri o seduti sugli scaffali dei loro negozi nascosti in fondo dove nessuno ci va mai perché c'è puzza di aglio.
Non si integrano, sono integrali nei modi, sono parte integrante di questo melting pot urbano, lavorano sempre, lavorato tanto, lavorano troppo.
Si cimentano a fare tutto anche se non benissimo, se si impegnano riescono a fare muraglie infinite con le sole mani e ponti di vetro sul vuoto.
Non chiedono aiuto a nessuno, nemmeno ai dottori. hanno la loro medicina che funziona anche, a volte, non sempre, qualche volta no.
Tutto sommato sono un popolo versatile, paziente, sorprendentemente resiliente e resistente, dove li metti stanno, dove gli dici di andare vanno, se gli dici di tornare tornano, se gli dici di fare qualcosa la fanno.
E l'unico cinese imbornito al mondo abita a Milano, prende in metrò all'ora di punta, si mette davanti alle porte del metrè senza scendere e dietro ci sono io.

venerdì 13 aprile 2018

ONDA SU ONDA...

Le giornate piovose a volte regalano delle perle incredibili, basta guardarle da un'angolazione diversa da quella di Lucio Battisti.
Dopo un viaggio sui mezzi pubblici senza particolari problemi sono sulla dirittura di casa, il ritmo della pioggia si è fatto incalzante e dove prima si poteva camminare tra una goccia e l'altra senza particolari danni, ora occorre aprire l'ombrello.
Nella mia città è piovuto tanto in giornata, ci sono i tombini esausti che non ricevono più acqua e le strade ai lati hanno raccolto parecchia acqua da far invidia alle risaie del vercellese.
Alla fermata dell'autobus scendiamo in tanti e cinque o sei persone si incamminano nella mia stessa direzione.
Dove si attraversa il semaforo è rosso, come sempre e anziché fermarci sul bordo del marciapiede, istintivamente tutti ci mettiamo in fila indiana a ridosso delle siepi della scuola che si trova alle nostre spalle con gli ombrelli leggermente piegati in avanti a mo' di protezione.
In quel punto della strada al bordo si accumula tanta acqua e si trova proprio dove transitano le macchine che devono girare sulla destra e che non possono allargare tanto per curvare, non lo farebbero comunque anche se lo spazio lo consentisse.
Consci di quello che succede tutte le volte che piove, rimaniamo arretrati serrando i ranghi con gli ombrelli e lasciando il marciapiede praticamente vuoto.
Dopo qualche secondo arriva una signora con un bellissimo ombrello verde con i girasoli e le coccinelle che passa davanti a tutti noi guardandoci come se fossimo appena usciti dal Paolo Pini (ndr ex-manicomio milanese) e si mette in riva al marciapiede esattamente davanti al semaforo.
Vedere sei persone addossate ad una siepe, coperti dagli ombrelli mentre piove a dirotto deve essere assai curioso.
In capo ad una frazione di secondo accade quello che tutti noi ci aspettavamo ed eravamo pronti ad evitare: arriva una macchina a velocità sostenuta, prende il pozzangherone d'acqua con le due ruote laterali e solleva un'onda di un metro e mezzo lavando la signora da capo a piedi.
Noi l'abbiamo scampata, la strategia di guerra funziona sempre ma la signora con il bellissimo ombrello, da cui sono scappate anche le coccinelle, si gira verso di noi gocciolando come un gelato a luglio e ci guarda con una faccia a punto interrogativo che parla da sola.
Noi restiamo immobili, muti e bastardi dietro agli ombrelli, nella nostra testa sono partiti trecento milioni di pensieri rivolti alla signora e nessuno di compassione.
Bastava un attimo per capire che sei persone in fila indiana, ferme sul marciapiede davanti al semaforo rosso, addossati ad una grossa siepe serrati sotto gli ombrelli mentre diluvia, non stanno facendo la fila alla biglietteria del cinema.





LA CORAZZATA POTEMKIN NON È UNA LEGGENDA

Piove copiosamente da qualche giorno e per qualche malsano algoritmo i mezzi subiscono ritardi, in particolare i treni.
Per bagnarmi meno scelgo di tornare a casa con il passante ferroviario che incrocia la metrò a Porta Venezia, in questa stazione del treno tutte le scale mobili sono bloccate e per uscire tocca andare di ginocchio.
Su una scala che porta fuori dal passante si sono sedute tre signore, probabilmente stanche di attendere un treno che non arriva, di fianco a me sale una ragazza con un trolley pesante, sembra pieno di quadrelli di marmo di Carrara, lo trascina dalla maniglia facendolo salire sugli scalini a fatica con le rotelle che tirano porconi ad ogni colpo: " tatac tatac tatac e tung, tatac tatac tatac e tung..." così per 40 scalini.
Io mi attacco col bostik al corrimano e mi tiro su come un ragno di Lecco, sono scale e sono bagnate, meglio sembrare Frankenstein che dare una sorellina a Olga.
Arrivata al terzultimo gradino sento un grido provenire dalla ragazza al mio fianco, mi giro sperando che non si sia fatta male e vedo il trolley, scappato dalla mano della ragazza, scivolare sui gradini verso il basso prendendo velocità.
La ragazza lo insegue cercando di avvisare le tre signore in fondo alla rampa dell'arrivo di un tram in corsa.
La scena mi è vagamente familiare, ma ricordo fosse una carrozzina.
Il massiccio siluro prosegue la sua corsa rallentando sole un po' sul piccolo pianerottolo tra un gruppo di gradini e l'altro.
Alla fine della scala le tre acute signore richiamate dalle urla della ragazza si girano e capendo la situazione, con la velocità di un gatto di marmo si alzano in piedi porgendo tre paia di stinchi all'impatto e salvando le schiene.
Non credevo che la corazza Potëmkin esistesse davvero.