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giovedì 26 maggio 2016

QUANDO SI SPEZZA UN OSSO


Quando si spezza un osso non si spezza solo un osso, si spezzano tante cose.
Prima, se lo avessi voluto, avrei potuto correre e camminare per tante ore senza problemi, magari con qualche dolore alle caviglie per il sovraccarico, ma non correvo perché avrei affaticato le articolazioni, le mie caviglie e ginocchia si devono portare in giro due locali arredati e già ne risentono camminando, immaginiamoci a correre…
Ora, se lo volessi, potrei correre lo stesso e camminare ancora per ore senza problemi, sempre con qualche dolore alle caviglie per lo stesso motivo di prima, nessuno mi ha detto che non posso più correre ma non lo faccio perché ho paura.
Ora, con l’osso spezzato e riparato, non sono più come l’originale uscito dalla fabbrica, ho una placca di titanio attaccata all’osso che mi ha aiutato ad aggiustarlo ma che ora non serve più a niente, la tengo solo perché non voglio andare di nuovo in sala operatoria e rifare tutto daccapo. La lascio lì dove l’hanno messa, non mi da disturbi, le voglio anche bene e le sono grata di quello che ha fatto, le ho dato un nome, le parlo, l’accarezzo, fa parte di me anche se il suo lavoro è terminato, non la levo perché ho paura.
Prima le radiografie del mio piede davano immagini di una massa compatta, lineare e bella da vedere, ora appare una ferramenta con un pezzo di metallo in verticale e otto viti piantate dentro all’osso, una cosa che a guardarla fa paura ma se guardi bene bene, la frattura non la vedi, è impercettibile, la vedo io perché so dov’è ma se non lo sai non la vedi, vedi solo quello che appare, un traliccio metallico che fa impressione ma non fa male.
Quando si spezza un osso fa male, ho sentito tanto male quando si è spezzato l’osso, quando ho ricominciato a camminarci sopra e fa male ancora ogni tanto ma non sempre.
Quando ho tolto l’immobilizzazione il piede non era più uguale a quello che avevo sempre avuto, era diverso dall'altro che era bello da vedere, era una salsiccia viola, pieno di ematomi perché non si era solo spezzato un osso, si erano anche stirati tutti i legamenti, rotti piccoli vasi sanguigni e si era formato un callo che mi impediva di stendere il piede come avevo sempre fatto, senza pensarci tanto a come funziona un piede.
Passavano i giorni, le settimane ma il piede era sempre uguale, bloccato, si sgonfiava piano piano ma era sempre bloccato, poi da viola è passato a rosso scuro e poi è tornato rosa ma era sempre bloccato, ci camminavo sopra zoppicando, in modo strano, tutta storta per sentire meno male, si è infiammato il ginocchio dell’altra gamba, che per darmi un aiuto si è caricato tutto il peso che non poteva portare l’altra, mi faceva male la schiena, poi una spalla e poi anche l’altra, infine anche il collo, tutto si è adoperato per cercare di farmi andare avanti anche senza che ci pensassi io.
Una mattina come tante mi sono accorta che mentre ero occupata a lamentarmi del mio piede che non sarebbe stato più come prima, il mio piede aveva aumentato la mobilità, il callo che mi avevano detto sarebbe rimasto era sparito, non si estende ancora bene come prima ma non è ancora passato tutto il tempo che deve passare,  non so nemmeno quanto debba essere ma sarà quello che serve.
A volte zoppico ma sento la tua voce che mi dice “non zoppicare” e subito torno a camminare normale, perché non c’è un motivo per zoppicare, il piede non è malato, mi regge benissimo, è solo la paura di sentire male che mi fa camminare così.
Ora mi fa male il ginocchio dell’altra gamba e il piede “rotto” per restituire il favore, si sta caricando tutto il peso per lasciare libero il ginocchio, e non fa male, regge bene, non lo facevo prima perché avevo paura ma soprattutto perché c’era qualcuno che si prestava a reggermi il gioco del “poverina hai rotto un piede, aspetta che ti porto in giro io” fino a che non ce l’ha fatti più nemmeno lui e per forza di cose ho dovuto cambiare registro.
Di questo osso spezzato mi è rimasta la paura addosso, la paura che il piede non mi possa reggere nei momenti in cui attraverso la strada e arrivano le macchine che non intendono fermarsi, che non mi regga quando salgo le scale perché l’ascensore di casa o le scale mobili del metrò non funzionano, la paura che ceda mentre scendo le scale, che mi sono accorta essere tantissime a Milano, sono ovunque tantissime, mi è rimasta la paura dei pavimenti bagnati che mi bloccano e fanno camminare come sulle uova, mi è rimasta la paura di non poter più fare affidamento su di lui ma fino ad ora è il piede che non poteva fare affidamento su di me che non mi fido di lui, perché lui non mi ha mai fatto nessuno scherzo mentre io lo tratto come un menomato.
Di questo osso spezzato mi è rimasta la paura delle scale in discesa, la paura di cadere di nuovo, ogni volta che scendevo le scale, per un bel po' di tempo, rivedevo tutta la scena della mia caduta, il dolore, l’ospedale, la sala operatoria, i punti, il dolore, la convalescenza, la ripresa lenta, il dolore, il rientro alla vita normale che non è stata più come prima, il dolore, la paura, il dolore…
Ma tra una paura e un dolore mi sono accorta che ci sono i corrimano, che prima erano solo decorazioni poste di fianco alle scale, ora sono la mia sicurezza, la mia mano li impugna e io mi fido di lei, non molla, qualsiasi cosa dovesse succedere su quelle scale non cado, sono tranquilla, la mano e il corrimano mi sono vicini e scendere le scale non fa più tanta paura come prima, non penso più tanto spesso che potrei cadere di nuovo e anche quando  capita, passa subito e il dolore è passato con la paura.
Quando si spezza un osso fa male, fa paura e si spezzano tante cose, ma si riaggiustano.
 
 

LE UNDICI


Le undici sono un orario strano, troppo tardi per colazione, troppo presto per il pranzo, lontana l’ora di andare a letto.

Alle undici la mattina volge al termine ma il pomeriggio ancora non si presenta.

Le undici sono un orario congestionato di cose ancora da fare e tante cose già fatte,  l’orario per un caffè e due chiacchiere in attesa di chissà che o solo di qualche minuto di calma, l’orario per un aperitivo, per riempire il tempo, un lasso di tempo in cui si è ancora in tempo per fare qualcosa che doveva essere fatto prima.

Le undici, ancora tantissimo tempo prima di sera, prima di andare a letto e prima che il giorno finisca, un orario che ti da ancora tante possibilità: che tutto accada, di cambiare idea, di una sorpresa, che il cielo cambi, di una decisione, di un ripensamento, di un dispiacere e di un sentimento, di “adesso cambio” e poi non faccio niente, di tempo immobile pesante, di progetti, pensieri, opere e omissioni, dire, fare e baciare e tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Le undici sono i minuti delle ore di mezzo, quelli che sembra non servano a niente e si buttano nelle discariche delle code alle poste, ai banconi dei supermercati, dal tabaccaio, in farmacia e dal fornaio, sono i minuti dell’ultimo minuto e di un attimo.

Alle undici si danno gli appuntamenti dove devi andarci per forza ma non vuoi alzarti presto e quelli a cui tieni tantissimo ma prima hai dei “per forza lo devo fare” che ti devi levare dalle scatole per essere libero.

Le undici sono quell’orario in cui se sei triste il giorno non passa mai e se sei felice pensi che c’è ancora tanto tempo per sentire dentro quella sensazione bella prima di doverla lasciar andare e aspettare che ritorni.

Le undici sono un orario strano, pieno di tante cose, pieno di vuoto e di speranze, pieno di paure e di mancanze.